Giorno dopo giorno è il progetto per raccontare Peccioli, il borgo Bandiera Arancione del Pisano che in questi anni ha visto portare avanti, anche con il sostegno e la collaborazione del Touring Club Italiano, molte iniziative riguardanti lo sviluppo turistico sostenibile. Nell'estate 2025 i 4600 abitanti di Peccioli sono stati chiamati a dare il loro punto di vista sul borgo, raccontando la loro esperienza, aneddoti sulle tradizioni e sulla quotidianità, momenti memorabili, stranezze, episodi che li legano al territorio e alle sue peculiarità. In questa pagina la presentazione del progetto e l'indice delle storie raccolte; a seguire il racconto di Margherita.
In paese, per noi che siamo un po’ più maturi, il punto di aggregazione era la piazza. Io non vedevo l’ora che arrivasse la domenica mattina, perché era il momento in cui si parlava di politica. Peccioli aveva questa bellissima abitudine: i vari partiti si ritrovavano in piazza a gruppetti — c’era il Partito Comunista, la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista, i Socialdemocratici... quelli che allora erano l’equivalente dei partiti di oggi, come i Cinque Stelle o Forza Italia. Ci si muoveva da un gruppo all’altro, si discuteva, si ascoltava. Io ero iscritta al PCI, poi al PDS, e in seguito ai DS. Quando ero nel PCI, portavo l’Unità alle famiglie: costava 5.000 lire, e la portavamo ovunque, anche al terzo o quarto piano senza ascensore.
La politica è sempre stata il mio pane quotidiano. Sono stata per quasi quindici anni consigliere comunale, e anche assessore. Però ci sono stati anche momenti difficili. Con una persona che aveva i figli nella mia stessa scuola — dalla prima alla quinta — siamo rimasti vent’anni senza rivolgerci la parola. Non per motivi personali, ma per forti divergenze politiche. Eravamo nello stesso partito, ma su posizioni completamente diverse. Ci furono momenti in cui lui uscì dal partito con un gruppo, e poi altre volte uscimmo noi.
Il riavvicinamento arrivò per caso, nel 2016, alla Coop. Ci guardammo, ci mettemmo a ridere e ci dicemmo: “Basta, siamo vecchi. Facciamo finta che non sia successo niente.” Da lì ci siamo spiegati tutto quello che era successo in quegli anni. Non ci eravamo parlati dal 1995 al 2016. In mezzo c’erano state battaglie politiche durissime: io ho guidato tutte le cordate che si sono opposte a lui, come quella del 2009 che perse per soli 16 voti. Poi nel 2016 ho deciso di appoggiarlo.
Prima avevo sostenuto altri candidati, come l’architetto Panizzi e Marinella Marianelli, una donna molto in gamba, con due lauree. Si trattava di diversi gruppi interni alla sinistra. Come spesso accade nella sinistra tradizionale, ci sono state molte divisioni.
Fino al 1993 la legge elettorale prevedeva che il sindaco venisse eletto dal consiglio comunale, non direttamente dai cittadini. La composizione era ballerina: bastava un solo consigliere per cambiare la maggioranza. Una volta, con il mio gruppo, contribuimmo addirittura a spaccare la Democrazia Cristiana in due: da un lato la DC tradizionale, dall’altro i Cristiano Democratici, che poi fecero maggioranza con noi del PCI. Così riuscimmo a governare dal 1985 al 1990. Poi ci furono contrasti interni e io decisi di uscire.
Nel 1993 cambiò la legge: con l’introduzione dell’elezione diretta del sindaco, tutto cambiò. Prima si poteva ancora far cadere un sindaco con un voto di sfiducia, come facemmo nell’86, quando contribuimmo a far cadere un sindaco socialista per sostituirlo con uno comunista. Ma poi non fu più possibile.
In politica, si sa, anche in Toscana siamo molto individualisti. Meglio essere la testa di un’acciuga che la coda di una balena. Alla fine, anche con l’attuale sindaco, mio ex compagno di partito, ci siamo riavvicinati. Quando ci siamo ritrovati a quasi 70 anni, ho ripreso la tessera del PD perché pensavo che il partito avesse bisogno di me. E probabilmente era vero.
Lui non ha mai vinto con percentuali schiaccianti: una volta vinse con il 55%, un’altra con il 70% — ma solo perché non si presentò nessuno dell’opposizione. Quindi, in realtà, ogni piccolo gruppo conta. E anche il nostro pacchetto di voti ha fatto la differenza.
Negli ultimi trent’anni, uno dei temi più divisivi nella vita politica del comune è stato sicuramente l’impianto della discarica. Però alla fine la discarica è diventata quasi un set cinematografico: la tenuta è impeccabile, e poi i rifiuti li produciamo noi stessi. Io faccio la raccolta differenziata a casa, ma alla fine l’umido è una piccola parte rispetto a plastica, carta, ferro, alluminio… Tutto passa di lì.
All’epoca della nascita dell’impianto Belvedere io c’ero. Era il 1988, Macelloni era in America, e io — con delega del sindaco — passai l’estate intera a lavorare con un’impiegata per mettere a punto il bando di gara. All’inizio la discarica era comprensoriale, coinvolgeva tre comuni: Peccioli, Capannoli e Palaia. Ci fu un finanziamento regionale di 4 miliardi e mezzo.
E devo dire — lo riconosco con convinzione — che Macelloni fu bravissimo. Tutti i finanziamenti, tutte le idee più innovative hanno avuto la sua paternità. È una persona molto intelligente e politicamente lungimirante. Questo paese l’ha cambiato. Non so se sarà stato un cambiamento positivo o negativo a lungo termine, ma l’ha trasformato profondamente: ci ha fatto viaggiare, ci ha portato a teatro, ci ha dato accesso a iniziative culturali, abbonamenti scontati… Tutto questo grazie anche alla Belvedere e alla Fondazione, che è davvero un fiore all’occhiello per il territorio.
Io oggi collaboro con la Fondazione, lavoro su diversi progetti e coordino il Circolo dei Lettori. Ed è un orgoglio. Un modo di continuare, in un’altra forma, quell’impegno che per tutta la vita ho portato avanti anche attraverso la politica.
Lo gnomone - un modo innovativo di fare scuola
Con i miei studenti costruimmo uno gnomone, una sorta di meridiana molto alta. La realizzammo nel parcheggio del camposanto, una zona allora poco frequentata, con pochissime macchine. Tracciavamo i segni dell’ombra direttamente a terra, usando delle foglie come marcatori.
Ogni ora andavamo a segnare la posizione dell’ombra. Durante l’orario scolastico, caricavo un bambino in macchina e lo portavo lì per fare il rilievo. Nei giorni in cui non c’era scuola, erano i ragazzi stessi ad andare autonomamente, dalla mattina fino alle dieci di sera. Un impegno straordinario, davvero incredibile.
Oppure si partiva con la bussola: si sceglieva un punto di riferimento, si prendeva l’angolo rispetto al nord e ci si metteva in cammino. Si diceva: "Ecco, siamo nel bosco, il punto di riferimento è a questa gradazione nord-est. Andiamo e proviamo a ritrovarlo." Era un'esperienza bellissima, un’avventura vera.
Oggi sarebbe impossibile organizzare qualcosa del genere. Ci sono assicurazioni, leggi sulla sicurezza – la 626, la 81... insomma, tutta una burocrazia che all’epoca non esisteva. Allora bastavano tre gite l’anno e non servivano montagne di documenti. Adesso, a quanto mi dicono anche le mie colleghe, è tutto molto più complicato.
La fuga d’amore
Vedi, nella mia vita l’insegnamento e la politica sono sempre andati insieme. Avevo 21 anni quando iniziai a fare politica, mentre le mie coetanee magari andavano ancora dalle suore. Io invece mi iscrissi al Partito Socialista. A quel tempo c’era il Centro di Educazione Permanente, un’iniziativa statale: con la guida di un insegnante si organizzavano cineforum, teatro, tante attività culturali.
Fu proprio in quel contesto che conobbi una persona di cui mi innamorai. Lui aveva circa 15 anni più di me, forse anche qualcosa in più: io avevo 21 anni, lui 36, forse 38. È morto tragicamente, anni dopo, lasciandomi due figli, che all’epoca avevano 13 e 12 anni.
Comunque, è stata una grande storia d’amore. Andavamo insieme a vedere film di Bergman, “Il posto delle fragole”, “Metti una sera a cena” di Patroni Griffi… insomma, vivevamo in quell’atmosfera lì. Un giorno lui mi disse: "Non ho figli, andiamo via insieme, lasciamo tutto". E così decidemmo di andarcene, ma solo dopo il Consiglio Comunale, che si sarebbe tenuto quella sera stessa.
Il Consiglio all’epoca si svolgeva nella vecchia sede del Comune, dove oggi c’è l’ufficio tecnico. Era tutto aperto. Poi fu spostato al Palazzo Pretorio. Comunque, avevamo deciso: quella sera avremmo lasciato tutto, e io, da poco maggiorenne, sarei andata via con lui. Ai nostri genitori l’avremmo detto dopo. E così fu: scappammo a Pontedera, o almeno così si disse in paese. Una “fuitina”, più simbolica che altro.
Ma quella sera successe di tutto. Come spesso accade in politica, ci furono litigi. Un consigliere non si presentò e questo rese possibile eleggere un sindaco di minoranza. A sorpresa, fu proprio lui a diventare sindaco. A quel punto non poteva più andarsene. Io, orgogliosa com’ero, gli dissi: "Va bene, se tu resti, io me ne vado lo stesso." Ero pronta a farlo da sola. Prendere un appartamento a Pontedera e cominciare da capo.
Ma lui disse: "Vengo anch’io." E il giorno dopo successe il finimondo. Proprio quella mattina arrivavano due nuovi preti a Peccioli e il sindaco doveva accoglierli. Invece, scoppiò lo scandalo. Finimmo anche sui giornali. Io mi ricordo che andai perfino a chiedere, con tanto di marca da bollo, la trascrizione ufficiale della seduta del Consiglio Comunale in cui lui fu eletto.
Naturalmente, le vecchie ruggini all’interno del Partito Socialista e del Partito Comunista riemersero subito. Lui fu sfiduciato. Passarono due mesi in cui non si fece praticamente nulla, finché al Consiglio Comunale successivo ci fu la mozione di sfiducia. Ma a quel punto noi eravamo già insieme. Da quella storia sono nati i miei due figli, che oggi hanno 54 e 53 anni.
I miei genitori? La presero male. Sì, andammo a Pontedera. Non li avvisai con una telefonata: dissi solo che me ne andavo. Presi le valigie e scesi le scale. Andammo ad abitare a Selvatelle. Mio padre non mi rivolse più la parola per otto anni, dal 1970 al 1978. Per lui fu un tradimento, anche personale, perché erano amici. Io ero appena maggiorenne e mi ero messa con un uomo sposato, anche se senza figli. Mia madre no, lei veniva anche a casa a guardare i bambini.
Anche per questo mi impegnai fortemente nella battaglia per il divorzio, nel 1974. Feci una campagna vera, montavo le trombe sull’auto, un Maggiolino – non trovavamo nemmeno la batteria, che poi si scoprì era sotto il sedile posteriore!
La mia vita è sempre stata scandita dalla politica. Sempre. In maggioranza o in opposizione, ma sempre dentro.
Storie di ingiustizia a scuola
Quando andavo a scuola, c’erano cose davvero vergognose. Te ne racconto una che per me è stata decisiva, una vera svolta nella mia formazione politica.
Io ho frequentato una scuola statale, perché mio padre non sopportava l’idea di mandarmi dalle suore. Però, paradossalmente, la mia maestra era una suora regolarmente assunta dallo Stato, che viveva comunque in convento. A quel tempo le scuole non erano miste: c’era la prima femminile, la prima maschile, la seconda femminile, e così via.
In classe con me c’erano bambine molto più grandi, ripetenti. Nella foto della quinta elementare ci sono più ripetenti che alunne "in corso". E in mezzo a tutto questo, ho assistito a un episodio che mi ha segnata per sempre. C’era una bambina di una famiglia molto disagiata. Il padre lo chiamavano “l’arabo” – non so perché – eppure i figli poi fecero fortuna, aprirono panetterie a Genova e diventarono ricchi, i vecchi milioni delle lire. Ma allora, quella bambina era poverissima, sporca. Era evidente che venisse da una situazione dura. Alcuni arrivavano anche a piedi dalle campagne, dalle Serre; erano più sporchi di noi che abitavamo in paese.
E un giorno, questa suora mise una bacinella d’acqua sulla stufetta – una di quelle elettriche – e le lavò il collo davanti a tutta la classe. Per me fu scioccante. Quel gesto mi colpì profondamente. Dissi a me stessa: Quando avrò vent’anni, mi iscriverò al Partito Comunista, perché queste ingiustizie, queste umiliazioni, non devono più accadere. Ed è stato così.
Le compagne? Non ridevano. Nessuna la prese in giro, nessuna disse “stracciona” o cose del genere. Eravamo tutte gelate. Era la solidarietà, quella vera. Ma quella suora aveva anche le sue preferenze, era apertamente classista. Per esempio, io ero brava, ma lei aveva una particolare simpatia per un’altra, che veniva da una famiglia “ben vista”. A noi regalava le corone del rosario, e organizzò anche un concorso di disegno in occasione dell’affondamento dell’Andrea Doria. Vinse la figlia di un pittore locale, che era molto talentuosa, ma anche quella scelta non fu del tutto neutra.
Insomma, c’era un gruppetto di bambine benvolute e uno meno benvoluto. Quell’ambiente mi segnò: fu parte integrante della mia coscienza politica.
Cosa mi ricordo della scuola? Il freddo. La borsa dell’acqua calda che portavamo perché non c’era il riscaldamento. Mi ricordo i miei successi scolastici, ma soprattutto quell’episodio. Quelle grandi ingiustizie di cui fui testimone. Immagina quella bambina, magari veniva da due chilometri di distanza, a piedi, col vento, la pioggia, le scarpe alte. E poi, quella umiliazione davanti a tutti.
Mi ricordo anche gli scambi con le compagne. Una volta barattai una penna biro – una cosa chic per l’epoca – in cambio di un panino fatto in casa col prosciutto. Avevo una zia con un negozio di alimentari e ogni tanto le davano queste penne in omaggio. Per noi erano un tesoro.
E poi, quando sono diventata maestra, anni dopo… quelle differenze così violente non le ho più viste. Non le ho più percepite. Certo, esistevano ancora alunni più poveri e altri più ricchi, ma non c’era più quell’umiliazione pubblica, quel senso di esclusione feroce che avevo vissuto da bambina. E io, naturalmente, ho sempre cercato di garantire rispetto e dignità a tutti, proprio per quel che avevo vissuto.
Inclusione scolastica e sostegno agli studenti stranieri
Negli anni in cui insegnavo, nella mia scuola cominciarono ad arrivare alunni stranieri, in particolare alcuni marocchini. Ricordo bene una mia alunna, Saduka Oatif, che oggi è laureata in giurisprudenza ed esercita la professione di avvocato. Era una bambina davvero brava. L’ho sempre tenuta sotto la mia ala.
Quando frequentava la terza classe, dovette andarsene perché la madre doveva tornare a casa per assistere il padre malato. Tornò poi in quinta. Il direttore mi chiese: “Che facciamo, la mettiamo in quinta?”. E io dissi sì, la mettiamo in quinta con me, nella mia classe, perché era dell’85 come i suoi compagni.
Nel tempo libero le facevo recupero, lavorando molto anche fuori dall’orario scolastico. Lei recuperò tutto. A chi aveva bisogno, non potevamo negare niente: io e le mie colleghe, che la pensavano come me, compravamo le cartelle, i grembiuli, i libri per l’estate. Era un’opera continua, quasi missionaria.
Nel tempo ho notato che c’erano percezioni diverse verso le varie nazionalità. Nei confronti degli albanesi c’era meno diffidenza. Per i magrebini, invece, la diffidenza era più forte. Alcuni albanesi, che conosco anche personalmente, hanno trovato lavoro, si sono comprati una casa, si sono costruiti una vita qui. Per esempio, una signora che viene a fare le pulizie da me ha la chiave di casa mia: mi fido completamente.
Il gruppo di lettura in biblioteca
Partecipo a un gruppo di lettura in biblioteca, composto da 10-15 persone, per lo più donne di una certa età. Ci troviamo una volta al mese, leggiamo un libro e poi lo commentiamo insieme. Leggiamo libri che non avremmo mai letto da soli: ad esempio, Le memorie di Adriano, il ciclo di Abraham B. Yehoshua, Pastorale americana di Philip Roth. Abbiamo letto anche Fitzgerald, Murakami, Avraham B. Yehoshua, Marais.
Il progetto è sostenuto dal Comune e coinvolge anche una psicologa, ma personalmente sono diffidente verso certe iniziative strutturate. Sono andata una volta, ma non mi ha convinta: sembrava tutto troppo costruito.
Il premio letterario del Tirreno e la giuria popolare
Per tre anni ho partecipato a un premio letterario organizzato dal quotidiano Il Tirreno. I partecipanti dovevano scrivere brevi racconti gialli, ambientati spesso proprio a Peccioli. C’era una giuria popolare, di cui facevo parte, che selezionava i racconti migliori. Poi una giuria di qualità assegnava i premi: 500 euro al primo, 300 al secondo, 200 al terzo.
Facevamo anche una “cena in giallo” per festeggiare. Era un’esperienza bella e partecipata. Dopo il Covid, purtroppo, il premio si è interrotto. So che è stato anche pubblicato un libro ambientato a Peccioli, con un delitto sul campanile: me lo regalarono, ma non mi piacque.
Il tempo libero, la politica e la natura
Quando avevo del tempo libero, andavo a teatro. Avevo l’abbonamento al Teatro Verdi. Andavo anche agli spettacoli a Via Manzoni. Negli anni ’80 partecipai a dei laboratori femministi a Buti, dove ci insegnavano a fare i canestri con il vimini. Facevamo propaganda per il divorzio e l’aborto, caricavamo le trombe in macchina e diffondevamo musica per strada, mettendo i volantini ovunque.
Non andavo a ballare, preferivo il teatro e i concerti: ho visto Paolo Conte in Piazzale Michelangelo, Camp a teatro, Salomè, Duende. Mi piaceva anche stare nella natura. Appena potevamo, andavamo a camminare sulle Serre. Poi nell’85 ebbi un brutto incidente con la moto: mi fratturai il femore e mi fermai. Però con i ragazzi della scuola facevamo molte uscite.
Luoghi del cuore e ricordi d’infanzia
Ricordo un posto bellissimo, poco conosciuto: vicino alla Misericordia, si scende e si arriva in una zona pianeggiante piena di pioppi, da cui si vede la pianura di Peccioli. È fresco, ideale per passeggiare. Ci andavo spesso.
Un altro posto speciale era una strada laterale di Montecchio dove si andava a fare il bagno nell’Era. Era pericoloso, molti si sono affogati lì, e i nostri genitori ce lo proibivano. Ma noi ci andavamo lo stesso. Quando mi diplomai, feci la festa proprio lì: portammo vino, frutta, bibite, facemmo un picnic.
Giovani, alcool e droghe: uno sguardo generazionale
Negli anni ’80 e ’90 i ragazzi bevevano. Mio figlio, ad esempio, non beveva mai, ma una volta all’ultimo dell’anno lo riportarono a casa ubriaco, gli avevano persino bruciato il montgomery con una sigaretta. Io ero una madre sola, senza un compagno, e ho scelto di non proibire nulla: lasciavo che decidessero da soli. Le droghe, invece, sono sempre state presenti ma in modo circoscritto. Sempre “i soliti”, diciamo. Anche mia figlia ebbe un legame con un ragazzo che ne faceva uso, ma per fortuna si tenne lontana. Il fenomeno c’era, ma riguardava sempre le stesse persone, spesso già conosciute come problematiche.